Sri Chinmoy, pittore

 

Bruno L.

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In Sri Chinmoy l’arte è a servizio della spiritualità. Sri Chinmoy è stato innanzitutto un grande maestro indiano che ha orientato tutta la sua vita alla ricerca spirituale. Un intenso dinamismo accompagnato da una spiritualità vasta e profonda ha caratterizzato la sua straordinaria esistenza che si è espressa anche attraverso la pittura. Come in un qualsiasi grande artista, la vita esteriore, i sentimenti, le gioie e aspirazioni, i drammi interiori sono in qualche maniera connessi alla sua arte e alle volte è difficile separare l’arte dalla vita, così anche in Sri Chinmoy la sua vita vissuta nella più alta spiritualità non può non essere guida necessaria e fondamentale per la sua arte.

La quale non può non essere arte informale. Perché l’arte informale può prescindere molto dalla tecnica ed è soprattutto cuore, sentimento, vita nella pienezza delle sue possibilità. Non avendo studiato arte nelle accademie Sri Chinmoy non possiede una tecnica che sia frutto di una studiata ricerca, tutto in lui è spontaneo, di una spontaneità profonda ed essenziale. Sri Chinmoy non sarebbe stato artista nel Rinascimento in cui il possesso di una tecnica elevata era necessaria all’arte.

Ma, come i cercatori d’oro in una miniera trovano le vene d’oro e queste sfruttano in tutte le loro possibilità, così Sri Chinmoy ha saputo trovare nel disegno e nel colore quella via che gli ha permesso la realizzazione di grandi forme di arte. Mi riferisco ai suoi stupendi e mirabili uccellini. In questi il tratto si evidenzia in tutta la sua sicurezza, semplicità, spontaneità e profondità espressiva.

La linea è sicura , fresca, il colore, quando c’è si esprime in semplici e limpide pennellate, la carta appena attraversata dalla levità del tocco vive in perfetta simbiosi con le linee. L’impressione che se ne ricava è di una purezza estrema, di una levità spirituale che avvince e coinvolge.

La semplicità del segno è tipico di molta arte contemporanea: Fontana ad esempio risolve nel taglio della tela anni di ricerca estetica e il segno vive la sua grande stagione in molte forme di arte contemporanea e in particolare nell’arte zen giapponese. Questa è tutta risolta nel segno, nel gesto scarno ed essenziale che coglie con pochi tratti la profonda natura di ciò che viene rappresentato.

Tuttavia in Sri Chinmoy il segno diventa ripetitivo in realizzazioni in cui oltre la qualità anche la quantità di ciò che è stato realizzato diventa essenziale. La ripetizione del segno, trova riscontro, con diverse implicazioni concettuali in svariate forme di arte contemporanea. Ricordiamo le accumulazioni di alcuni artisti contemporanei di monete, di oggetti e forme di svariata natura (Fernandez Arman), ricordiamo le pillole da farmacista, messe in fila accurata da Damien Hirst. Ma qui gli intenti sono diversi.

In Sri Chinmoy colpisce questo ricorso costante e frequente alla quantità. Ha scritto decine di migliaia di canti spirituali, ha suonato nei concerti decine di strumenti, ha disegnato milioni di uccellini. Le implicazioni di questa ricerca della quantità sono molteplici. In Sri Chinmoy appare, ad una riflessione attenta, che la quantità in qualche maniera si risolve nella qualità: la ripetizione cadenzata di forme e figure appare come la trasposizione in forme e colori di quei ritmi ripetitivi e quasi ossessivi che si ritrovano nei canti sacri occidentali e orientali. Così Sri Chinmoy nella sua arte dà alla ripetizione la cadenza forte e ritmata del divino che per imporsi nel mondo non ricorre al miracolo, ma ai ritmi che sembrano scandire i ritmi eterni della creazione: lo scorrere dei minuti, l’alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni. Gli uccellini, risolti in pochi essenziali tratti, si susseguono nelle sue opere, in una riproduzione continua ed armonica che ha dello straordinario: sembrano esprimere l’infinito che si esprime nella successione numerica, che non ha termine, come non ha termine la mirabile opera della creazione e sembrano non aver termine lo spazio e il tempo.

Sri Chinmoy sviluppa le sue opere fino al limite del possibile. Così nel suo sollevare pesi abnormi in maniera eccezionale ed unica. Così in quel suo scrivere musica e musica e musica senza limiti fino alla fine della sua esistenza terrena. Così in quel suo ripetere all’infinito miriadi di uccellini come miriadi sono le stelle presenti nell’universo.

L’arte di Sri Chinmoy è carica di eterno. Ma l’eternità in Sri Chinmoy sembra essere tutta nel tempo. Come quando parla di un Dio infinito che cresce all’infinito. Qui il “tota simul” di S. Tommaso esprimente in Dio la riunione di tutti gli istanti di un eterno in atto al di fuori del tempo, diventa in qualche maniera temporalità eterna in un infinito che cresce su stesso … all’infinito. E tuttavia in questo auto perfezionamento all’infinito che ricorda lontanamente l’Io di Fichte c’è in definitiva la natura profonda dell’intuizione di Dio.. Il crescere nell’infinito di Dio secondo Sri Chinmoy non sembra essere una crescita che ha fuori di sé il suo oggetto quasi che in Dio ci fossero scopi a lui esterni. La natura di Dio è proprio in questo crescere, in questo eterno lievitare su stesso che è la ragione profonda del suo essere. Essere non è staticità e il possesso non ha il suo oggetto al di fuori di sé,ma ha tutto in sé , in questo crescere infinito. Questo faceva dire a Nagarjuna uno dei più importanti maestri buddisti che il nirvana è lo stesso samsara (divenire per la terminologia occidentale) e fa dire ai maestri zen che realizzano il satori che questo è “nulla di speciale” ed è il guardare al mondo e il vivere nel mondo da un punto di vista diverso “sub specie aeternitatis” come scriveva Spinoza e faceva descrivere il satori come uno speciale ed ineffabile relazionarsi al mondo.

Non molto diversa sembra essere l’azione svincolata dai suoi frutti della Bhagavad Gita in cui l’agire senza agire appare nel mondo l’espressione più vera di una saggezza antica, l’essere con le cose, partecipare al flusso degli eventi come in una “marea che muovendosi sembra dormire troppo calma per suono o spuma”. L’immedesimarsi nel divenire e al tempo stesso collegarsi alla fonte.

Essere nel vertice e nella periferia accedere alla fonte e inserire la fonte nel mondo manifestato. E l’arte della fonte di Sri Chinmoy, è l’arte dei jharna kala.

I jharna kala, decine di migliaia di opere, caratterizzati da squarci limpidi di colore, sono tutti colore, luce limpida e fresca forza spirituale che attraverso essi si esprime. Cascate brulicanti di forme luminose, macchie fresche di colore puro, o intenso o fresco, o morbido, o vibrante, linee aeree perdute in volute, zampilli ed esplosioni e pace di forme distese e calme, si inseguono nelle sue opere in una meraviglia e stupore che apre il cuore. Colpisce molto, nelle sue opere l’insieme, la coralità, quasi che la molteplicità delle figure accostate le une alle altre in numerosi quadri costituisca nel suo insieme, un unico grande inno alla bellezza divina della vita e della natura. L’arte finalmente trova in Sri Chinmoy la sua destinazione più autentica: essere un ponte tra l’uomo e Dio. Sri Chinmoy ci dice con le sue opere che le attività umane possono essere elevate a un livello più alto e colorate di quella presenza divina che c’è nel mondo, ma che spesso viene ignorata nella sua autentica dimensione. Così lo sport in Sri Chinmoy diventa divino, così la musica, così la pittura. Le distanze che dividono Dio dal mondo sono da Sri Chinmoy superate. E’ rivelata la presenza autentica di Dio in ogni attimo, in una glorificazione e divinizzazione della vita che ricorda tanto l’affermazione biblica del racconto della creazione: “E Dio vide che tutto questo era buono”.

Ciò è anche un superamento dei pessimismi che troppo spesso hanno ostacolato il divenire storico, è il farsi portatore di un sano ottimismo che carica il nostro secolo di aspettative,di rinascite e rigenerazioni. La rivalutazione di un’arte che sia portatrice del divino e della sua bellezza sulla terra, perché scaturita dalla stessa luce divina, è l’aspetto più valido e coinvolgente dell’arte di Sri Chinmoy.

 

“Non uso la mente quando dipingo perché il processo del pensiero incatena.

Quando dipingo non ha niente in mente, cerco di tenere il più possibile la mente

vuota, libera e tranquilla. La nostra mente esteriore è come la superficie del mare.

Alla superficie il mare è ondeggiato, ma quando scendiamo in profondità, lo

stesso mare è colmo di pace, calma e tranquillità, ed è qui troviamo la sorgente

della creatività.”

Sri Chinmoy