La musica del Maestro

Prima che apparisse l'artista nel ruolo di interprete della società, la musi­ca, come tutte le arti, era volta più direttamente ad esprimere i moti più profondi dell'anima, e traduceva in modo percepibile le esperienze interiori dei mistici. Il suo ruolo tuttavia non si limitava alla mera espressione, ma si poneva a servizio della ricerca spirituale altrui, ispirandolo a cercare il proprio tesoro interiore. La musica svolgeva un ruolo spirituale nel senso più stretto del termine e per questo, il suo creatore non poteva che vivere in modo consono: c'era sintonia tra la vita del creato­re e la vita della sua creazione. I tempi sono cambiati e il musicista ha incomin­ciato a credere di essere "strumentista" invece di "strumento". Più egli si è esaltato, spinto sia dal suo stesso orgoglio, che dall'idolatria del pubblico, più si è allontanato dalla sua fonte, mentre per sollevare e trasportare l'uomo verso l'alto l’arte ha bisogno di un senso di trascendenza.

Da questo punto di vista, l'approccio di alcuni creatori di un tempo, si pensi soprattutto ai compo­sitori medioevali, se a prima vista può sembrare altero ed elitario, è in realtà infinitamente più "umano" di quello che sembra. In effetti, non vi è più amore nel diffondere un messaggio confidenzia­le che si schiuda poco a poco con l'andare del tempo, che nel gridare un messaggio vuoto di senso?

I mezzi di cui dispongono i creatori contemporanei non sono mai stati così raffinati e sofisticati, ma neanche così inadeguati per ri­spondere alle aspirazioni fondamentali dell'uomo.

I monaci che furono all'origine dei canti gregoriani erano monaci prima di essere mu­sicisti. Così Sri Chinmoy è uno di quegli uomini che possiede la capacità di unire all’elevazione spirituale una conoscenza suffi­ciente della musica per trasmettercela.

Sri Chinmoy non è un compositore professioni­sta, e nemmeno un preparato interprete. Se suona diversi strumenti, dall'esraj, suo strumento preferi­to, al flauto traverso, al violoncello e al clavicembalo, è lontano dall'esserne un virtuoso.

Egli ha appreso la musica grazie alla propria intuizione, e non l'ha mai concepita diversamente da un'espressione naturale e spontanea delle più sublimi realtà.

Questo spiega come da un punto di vista stretta­mente analitico, la sua musica è situata ben lontana dalle preoccupazioni altamente tecnologiche e sofi­sticate dei nostri contemporanei. Essa è di una semplicità quasi sconcertante, che però non deve ingannarci. Non dobbiamo intenderla per "semplicismo", ma di quella semplicità pura che ha già attraversato tutte le complessità.

Si può anche definire come "pura": la musica di Sri Chinmoy è purificata da tutti gli artifici di stile che affascinano gli esegeti, da tutte le sollecitazione che lusingano il virtuoso, da tutto quello che non si rivolge direttamente all'anima e al suo linguaggio. Essa non richiede un ascolto razio­nale, intellettuale, attento. Esige piuttosto l'immersione psichica e intuitiva di un bambino innocente. Tuttavia non dobbiamo supporre che la musica di Sri Chinmoy viva rinchiusa in sé stessa, in una specie di autarchia sognante, lontana dal mondo umano. Al contrario, è vasta quanto innumerevoli sono i suoi senti­menti umani a cui va incontro.

Certi suoi canti sono pieni di una gioia traboc­cante, altri di un'infinita melanconia dove si riflette tutta la nostalgia dell'uomo dinanzi alla sua condi­zione terrena; altri ancora sono animati da uno scuotimento inaspettato o da una tenerezza mater­na.

Ma come si presenta questa musica, e sotto quali forme?

I testi di Sri Chinmoy si uniscono fortemente melodia e testo in una sola lirica fiamma. Essi sono tutti di natura monodica e raramente superano i cinque minuti, tant’è che trova­no quasi sempre posto su un'unica pagina. Sri Chinmoy mantiene nei suoi canti un'unica linea melodica, spogliata da ogni abbellimento, quasi che  un rivestimento armonico, anche solo delicato e leggero, appesantirebbe l’anima del canto, velandone che la pura bellezza.

Nondimeno, la linea melodica è alle volte così ricca di risonanze che sembra contenere un'armo­nia nascosta. Le note corrispondono le una alle altre come un immaginario tessuto armonioso. L'armonia, se presente, non è quindi espressa.

Sul piano ritmico la musica di Sri Chinmoy, presenta una stupefacente ricchezza, al pari della tradizione della sua terra. Il ritmo è alle volte così vivace e autonomo con ritmi irregolari, di 5 tempi, 7 tempi o sincopi, che sembra far danzare la melodia.

La varietà dei modi impiegati è ugualmente confondente. L'universalità dell'autore influenza la sua musica. Si ritrovano tutte le tradizioni modali. Qua si percepisce un modo pentatonico d'andatura giapponese, là una seconda aumentata che rievoca la musica del Golfo Arabo, e poi ancora un modo maggiore che viene direttamente dalla linea del musica classica europea.

Questo ecumenismo, che sembra profittare di tutte le esperienze musicali delle differenti culture del mondo, è ravvivato dall'originalità e dalla straordinaria bellezza dei suoi tempi. Alla svolta di una curva, di una caden­za, l'orecchio è costantemente sorpreso e incantato. Le soluzioni adottate, spesso le più inaspettate, sono sempre anche le più naturali.

Nel loro insieme, questi canti, irradiando una qualità di emozione particolarmente propria, ci riportano alla memoria una patria lontana e dimen­ticata, inesplorata eppure così familiare.

Da questo anche la straordinaria impressione che si vive quando ci abbandoniamo a questa musica: non partecipiamo più ad una comunicazione tra indi­vidui, ma ci sentiamo sollevati dall'individuale all'universale e al trascendente.

In questo senso, essa è puro insegnamento spiri­tuale che svela all'uomo la sua vera origine: Dio, il Musicista Supremo.

 

Centro Sri Chinmoy