Armonie d'archi in Arizona

 

A metà di giugno, grazie alla World Harmony Run, sono stato a Sedona, in Arizona, in uno scenario che per molti è unico.
Una coppia molto generosa aveva saputo del nostro arrivo, e ci ha invitato a casa loro per dormire la notte. Situata nel deserto, a poche miglia dalla strada principale, la casa aveva grandi finestra, un giardino interno, un giardino esterno e (Dio li ringrazi!) una vasca calda che noi stanchi corridori abbiamo potuto usare.
La moglie era una appassionata lettrice, e teneva una nutrita libreria personale. Dato che aveva preparato da dormire per alcuni di noi in quella stanza, ne ho approfittato per dare un'occhiata alla sua meravigliosa collezione. Io amo i libri datati e insoliti, e pure i suoi gusti erano eclettici.

Ho visto un libro che ben ricordavo dal mio periodo al college: il libro di Sullivan "Beethoven: il suo sviluppo spirituale". Pubblicato nel 1927, non è mai uscito dalla produzione. In questo libro, Sullivan spiega la sua filosofia della musica, per poi sottolineare come la musica di Beethoven sia speciale per la coscienza che rivela. Ben strutturato e molto coinvolgente, il libro di Sullivan conferma il miei sentimenti per la musica di Beethoven, in modo particolare per i suoi ultimi quartetti d'archi.

Nei suoi ultimi tre anni di vita, Beethoven scrisse questi famosi quartetti d'archi. Penso ad essi con gioia, perchè a suo tempo mi hanno dato i primi sprazzi di spiritualità. Ascoltando musica spirituale come quella di Beethoven, cresciamo come persone e iniziamo a pensare e sentire al di fuori degli schemi.

Mentre riponevo il libro, mi è venuto in mente che il mio professore di filosofia, Dominick, diceva che certe espressioni artistiche esprimono più che bellezza: ci portano in luoghi o stati di coscienza che le parole non posso comunicare, e poneva la musica dell'ultimo Beethoven in questa categoria.

La sola presenza di Dominick era speciale: era stato monaco in gioventù, in un ordine contemplativo, e aveva mantenuto il voto del silenzio per quattro anni. Quando faceva lezione o anche solamente quando era in piedi davanti a noi studenti, potevi percepire la sua pace e la sua profondità. A veder mio, incarnava moltissimo di ciò che Beethoven aveva trasmesso in musica nei suoi ultimi capolavori.

Un testo che spesso Dominick citava in aula era l'Isa Upanishad, nel punto in cui dice "E' ciò che muove, che pure non è mosso, è ciò che è vicino, ma pure che è lontano, è immanente, eppure è trascendente." E' questa la frase che riassume meglio di ogni commento l'esperienza degli ultimi quartetti.

Quella notte, ho sognato di essere ancora all'università, con il mio caro professore Dominick, in completo silenzio. Le luci erano soffuse, ma il sole si riversava nella stanza dalle finestre, e potevo sentire un bellissimo richiamo di uccellini. Immediatamente, mi ricordavo dell'adagio del maggiore e più etereo dei quartetti, il 131, in Do diesis minore.

Quando mi sono svegliato, mi sono accorto che sentivo ancora gli uccellini. Ho aperto la tenda e ho ammirato la vastità del deserto, i suoi cespugli ed alberi, la sua saggezza. Il sole stava colorando un angolo del cielo di un rosa pallido e l'aria era meravigliosamente fresca e frizzante. Ho potuto offrire una breve preghiera di gratitudine agli eccezionali maestri della mia vita, che mi hanno insegnato a pensare con saggezza, vivere con coraggio, andare avanti con continuità.

traduzione dall'originale in inglese dell'articolo di Mahiruha Klein su Ispiration-Letters n° 1